Diego Perrone

PORTRAITS OF THOUSANDS OF PENS
Milano, 2017

Dov’è la gallina?
Per chi la vide allora, è impossibile dimenticare quell’immagine giocosa, enigmatica, forse anche un po’ provocatoria, del volto sorridente di Diego sovrastato, come fosse un copricapo, da una gallina rannicchiata e vagamente distratta. Era un autoritratto impertinente, con prato e cielo, assoluti, a fare da sfondo. …Voleva entrare nei “pensieri” della gallina…

Molti anni dopo, eccolo ritratto dietro una distesa di biro rosse gettate a terra a formare un grande tappeto spettinato, pieno di bagliori. Il nostro sguardo vi rimane impigliato. L’aggetto ripido sulle traiettorie delle penne e il rosso crescente della plastica ci distraggono dal protagonista.

Lui è sul fondo, quasi un tutt’uno con la parte fissa dello studio, il tavolo, gli scaffali, le cassettiere, i contenitori per gli attrezzi. Sta lì fermo, tra il misterioso e il minaccioso, ma attenzione, a breve potrebbe dileguarsi. L’improvviso non esserci potrebbe nascondere una delle più vivide modalità del suo esserci.

Ci depista con i suoi strumenti quotidiani, con il brulicare delle loro forme, la trasparenza ermetica delle penne esaurite. Il luogo ormai è un altro, l’idea a questo punto risiede altrove, credo su dei fogli da disegno che non vediamo e che non ci mostrerà.

Come avrebbe detto Hans Belting, quelle penne sono la presenza di un’assenza.

Fatto sta che intanto, per arrivare a lui, dobbiamo passare attraverso l’appeal lucido della plastica e l’autogoverno delle biro. E mentre siamo ancora lontani dal raggiungerlo, si palesano due dei suoi più cari compagni di percorso, TEMPO e VUOTO.

Il tempo ci si presenta come un esteso divenire dentro il quale la pratica quotidiana trova un ancoraggio di continuità proprio mentre insegue una visione, oppure, forse meglio, il pensiero di una visione.

Il vuoto si palesa come un’aspirazione costante, ma anche come disciplina. È la testimonianza del passaggio di una materia. È la certezza di una sempre nuova possibilità, lo spazio propizio per un nuovo accumulo e una nuova sottrazione.

Raggiungere l’opera di Perrone non è cosa semplice. Al di là di quel suo generoso offrirsi, tra imperturbabilità lenta della natura, archetipalità delle forme, ingegnosità delle soluzioni, seduttività dei materiali, tra artigianalità della parola, istrionismo degli oggetti, complicità intima con la storia, di fatto il fulcro del sul lavoro si annida in fondo ai buchi più profondi, così come si appende alla più imprendibile delle vaghezze.

Vorrebbe fermare l’impermanente, e qualche volta rimuovere il permanente.

Malgrado sia passato tanto tempo, la gallina è ancora con lui. Ed è sempre pronta a depistarci con la distrazione lieve del suo sguardo.                  

Daniela Bigi